Savona. “Ho visto i filmati. Quello sono io e quella mattina ero lì, ma non sono mai entrato nell’orologeria. Non so nemmeno dov’è e non ho mai visto la signora”. Sono le parole pronunciate davanti alla Corte d’Assise da Hader Veshaj, il muratore albanese accusato di essere l’assassinio di Rina Marrone, l’orologiaia settantottenne freddata da un colpo di pistola il 19 ottobre 2012 nel suo negozio di via Niella, a Savona.
Questa mattina l’imputato ha voluto rispondere alle domande del pm Cristiana Buttiglione e dei giudici per ribadire, come già aveva fatto in sede di interrogatorio davanti al gip ed in udienza preliminare, la propria innocenza. Veshaj deve rispondere delle accuse di omicidio volontario aggravato, tentata rapina e porto d’armi (anche se la pistola non è mai stata trovata).
Secondo gli inquirenti, Rina Marrone sarebbe stata uccisa proprio per nel contesto di un assalto degenerato e poi finito male. La donna era stata uccisa con un colpo di pistola di piccolo calibro, sparato, come ha confermato in aula questa mattina il medico legale da “distanza ravvicinata”, “da 15-20 centimetri, mezzo metro al massimo”.
Veshaj, che è difeso dall’avvocato Fabrizio Spigarelli del foro di Sanremo, nel corso del suo esame, durato una ventina di minuti, ha ricostruito quale fosse la sua situazione nel periodo dell’omicidio: “Cercavo casa in affitto e per quella ragione avevo in mano il giornale con gli annunci. Temporaneamente vivevo in via XX Settembre, ma era sistemazione provvisoria. Ci stavo da maggio di quell’anno”.
Secondo la Procura, contro l’albanese, ci sarebbero tre elementi probatori chiave: uno è proprio l’impronta individuata sul giornale di annunci immobiliari trovato sul bancone del negozio della vittima e che secondo gli inquirenti è lo stesso che l’imputato aveva in mano; poi i fotogrammi che ritraggono l’albanese in via Niella in due momenti importanti, prima e dopo l’omicidio; e tracce di residui di sparo, rinvenute sui pantaloni dell’imputato, compatibili con l’esplosione del colpo d’arma.
Prove davanti alle quali Veshaj ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento con l’omicidio. Messo alla strette dal pm, alla domanda sul perché la mattina del 19 ottobre, per quasi tre ore (come documentano i filmati delle telecamere di videosorveglianza dei negozi), sia rimasto nella zona di via Niella, l’imputato ha dato una sua spiegazione: “Ero lì perché c’era un cantiere stradale e io cercavo lavoro. Prima avevo parlato con degli operai e mi avevano detto che dovevo aspettare il geometra. Per quello non ero andato via e continuavo a stare lì”.
“Sono stato per circa tre ore in quel tratto di strada e aspettavo arrivasse geometra o qualcuno che potesse dirmi se c’era lavoro o no. Non ricordo bene che cantiere fosse, credo di riparazioni stradali. Io anche dopo il 19 ottobre non ho mai lasciato Savona. Quando mi hanno fermato a Pieve ero andato lì con il treno perché cercavo lavoro” ha precisato Veshaj che non ha nemmeno nascosto di essere stato sorpreso quando, dopo essere stato fermato per un presunto furto, si sia trovato a rispondere a domande su un omicidio: “Quando mi hanno fermato e mi hanno chiesto cosa facessi il 19 ottobre in via Niella non ricordavo nulla. Per me era un giorno qualunque della mia vita cosa mi importava di memorizzare cosa avevo fatto”.
Prima dell’esame di Veshaj erano stati sentiti gli ultimi testimoni dell’accusa: il medico legale Marco Canepa che eseguì l’autopsia sulla donna (ha fornito conferme sull’orario della morte e sulla direzione del proiettile); il perito che si è occupato dei filmati ricavati dalle telecamere dei negozi di via Niella e delle vie limitrofe; la donna, un’amica di una delle figlie della vittima, che da tempo aiutava la signora Marrone in casa e che il pomeriggio del 19 ottobre la ritrovò senza vita e diede l’allarme; una cliente del negozio che il giorno dell’omicidio, poco dopo mezzogiorno, era passata per portare un orologio a riparare (aveva suonato ma senza che nessuno aprisse).
E ancora: l’ex convivente di una delle figlie di Rina Marrone che intorno a mezzogiorno, come testimonia uno dei filmati esaminati, era passato dal negozio per cambiare un cinturino senza ottenere però risposta dalla “suocera”; infine il figlio della vittima che la mattina del delitto, verso le 11,30, era passato a salutarla in negozio, probabilmente poco prima che venisse uccisa.
Al termine delle audizioni il pubblico ministero ha anche prodotto un ulteriore esame del Ris sulle impronte rilevate sul giornalino di annunci immobiliari che escludono siano compatibili con quelle dell’ex convivente della figlia della vittima.
La Corte d’Assise ha poi rinviato, come previsto, il processo a giovedì mattina quando inizierà la discussione. Salvo ritardi, ultimate la requisitoria del pm e le arringhe dei difensori (nel processo la famiglia è parte civile con l’avvocato Marco Russo) i giudici si ritireranno in camera di consiglio per poi emettere il verdetto.